Il poker delle nuove generazioni vede moltitudini di giocatori celati dietro cuffie, occhiali da sole e soprattutto smartphone. Ma occhio alle conseguenze...
Sei mai stato colpito dal fatto che i giocatori professionisti – ma anche gli amatori – presenti ad un tavolo da poker hanno la predisposizione ad isolarsi dal resto dei presenti? Tuttavia è una cosa che potrebbe succedere nella vita di tutti i giorni. Ecco allora lo studio di un fenomeno che ha ormai assunto i caratteri di una vera e propria piaga sociale.
Alcuni nascondono i propri occhi dietro grandi occhiali da sole, altri si mascherano piazzando un bel cappuccio attorno alla testa ma anche davanti alla faccia. Altri ancora si isolano ascoltando la musica attraverso grandi cuffie, e infine c’è chi guarda di continuo il proprio cellulare.
Anche se l’uso di determinati apparecchi è stato limitato negli ultimi tempi, soprattutto per bandire l’utilizzo di software illegali durante i tornei, è diventato sempre più facile adottare la cosiddetta ‘poker face’ quando ci si trova al tavolo.
Tuttavia, ci sarebbe da chiedersi quale sia la reale differenza tra il giocare live e adoperare di continuo certi dispositivi, e il giocare online in cui si è soli davanti a un monitor. I principali protagonisti del poker live, così, hanno sottolineato la sempre maggiore perdita del fattore sociale nel gioco.
Un torneo che banni l’uso del cellulare
Dato che ovviamente non è questa l’immagine che si vuole far passare quando si pubblicizza un torneo live, alcuni organizzatori di eventi vorrebbero provare a invertire la tendenza. Così, alla fine di aprile, presso il Commerce Casino di Los Angeles si è tenuto un evento particolare, ma di grande successo.
Si tratta di un evento denominato “Social Experiment”, organizzato da Matt Savage e Justin Hammer, rispettivamente direttore e coordinatore del circuito California State Poker Championship.
In questo evento non è stato vietato solo l’uso di apparecchi elettronici, ma anche di indossare occhiali da sole, cappucci e cuffie. Chiunque abbia trasgredito le regole, è andato incontro ad alcune sanzioni. Ovviamente c’erano delle eccezioni, rappresentate da apparecchi acustici e altri dispositivi medici.
Un modo per riuscire a tornare ai vecchi tempi e per riportare un po’ di socializzazione al tavolo da poker? Sì, in particolare per alcuni non professionisti del gioco.
A partecipare sono stati 511 giocatori, ma con una caratteristica che la dice lunga sulle reazioni a questo genere di evento: l’età media dei giocatori è di circa 40 anni. I più giovani, decisamente più legati ai propri smartphone e tablet, non hanno gradito particolarmente la formula del torneo.
In ogni caso, il bilancio complessivo è positivo. Molti giocatori hanno espresso pareri carichi di entusiastici e hanno apprezzato l’esperienza provata. È stato riscoperto il piacere della conversazione, della vera comunicazione e degli scherzi al tavolo.
L’iperconnessione che diventa un problema sociale
Questo atteggiamento dilagante nel mondo del poker è tutt’altro che banale. La nostra società sta vivendo un simile momento perchè ci si trova in una fase in cui a farla da padrona è la cosiddetta iperconnessione: il fatto di potersi informare in tempo reale e di stare in costante contatto con la gente è un bell’incentivo.
Essere sempre attivi dà anche la sensazione di sentirsi importanti, tutto il mondo sembra ormai essere a portata di mano, immediatamente e senza interruzioni.
Ma il fatto di essere sempre connessi col mondo circostante giova alla nostra vita privata, e in particolare al nostro benessere fisico e mentale? Quali sono gli impatti sul nostro stile di vita, a breve e a lungo termine?
L’utilizzo dei cellulari ha preso il largo negli Anni Novanta: la tecnologia ha fatto passi da gigante, i modelli si sono rimpiccioliti e i costi sono diminuiti. Colmando alcune lacune legate alla telefonia fissa, i cellulari sono diventati poco per volta una sorta di ‘must’.
I cellulari, così come i cercapersone e altri strumenti, hanno iniziato ad apparire anche sul piano professionale: diversi lavoratori ne hanno avuto bisogno, anche per rendere più sicuri alcuni dati, e c’è da dire che i benefici sono stati evidenti.
Da strumento utile a forma di dipendenza
Convincere i più restii sull’utilità del cellulare non è stato complicato, giocando anche sui concetti di libertà e di sicurezza. Chi non ha mai pensato che avere un cellulare potesse salvare delle vite in caso di incidenti, oppure tornare utile come nei casi in cui si guasta l’auto in mezzo al nulla?
Non è forse più rassicurante poter ricevere o fare una chiamata quando il proprio figlio è ammalato, oppure per segnalare eventi anomali che riguardano sempre i propri figli, in modo da tenersi sempre in contatto con loro?
Nato come accessorio, il cellulare è diventato praticamente necessario per la vita di tutti i giorni. E con le funzioni che esulano dalla telefonia e dalla messaggistica, oggi diventa quasi indispensabile averlo. Così il 78% dei soggetti sotto i 25 anni ne hanno uno, così come il 62% dei dirigenti (dati IFOP).
Di sicuro il cellulare contribuisce a ritrovare la strada quando ci si perde, consente di trovare posti interessanti ovunque ci si trovi, fa da guida quando ci si trova all’estero, è pratico e immediato. Tutto verissimo, così com’è vero che il cellulare è ormai un mezzo intrusivo nella vita di tutti i giorni.
Lo sai che tre persone su quattro non spengono il telefono nemmeno durante la notte? Osservano il cellulare in fila allo sportello oppure sui mezzi pubblici. La gente ormai vive a testa bassa, con gli occhi fissi sullo schermo.
Anche in coppia, il cellulare è ormai diventato un modo per distrarsi, perfino in momenti in cui dovrebbe esserci maggiore intimità: una statistica rivela che il 20% delle coppie composte da persone sotto i 34 anni usa il cellulare in vista del sesso.
Riflettiamo: se ti trovi a tavola con la tua famiglia, in una riunione oppure in visita dal medico, in quale di questi momenti riusciresti a non rispondere al cellulare?
Qualora riuscissi ad evitare il contatto con apparecchi tecnologici in ciascuna di queste situazioni, vorrebbe dire che civiltà ed educazione sono ancora ben salde in te.
Quali sono i pericoli dell’iperconnettività?
È un problema serio, questo, ancor più di quanto si pensava in principio. Anche perchè, se da una parte c’è un grande sostegno sul piano della produttività al lavoro, dall’altra si rivelano problemi nella capacità cognitiva.
Questo sovraccarico di dati, il fatto di essere iperconnessi, porta alla perdita di concentrazione, all’aumento dello stress, alla stanchezza mentale e persino alla depressione.
Sembra davvero difficile restare concentrati su un qualsiasi compito se, come rivela una statistica del 2012, ogni 75 secondi avviene un’interruzione data dall’utilizzo dei cellulari. Un altro studio dimostra che, al lavoro, ci si ferma ogni 6 minuti per guardare la posta o per fare altre cose.
E persino quando i cellulari non sono accanto a noi, riescono comunque a distrarci!
Un’altra conseguenza dell’utilizzo smodato dei cellulari è data dal volume di informazioni che riusciamo ad immagazzinare, ma che danno vita ad un ‘sovraccarico cognitivo’: il peso mentale che il cervello riesce a gestire, infatti, è direttamente proporzionale ai dati in ingresso.
Tanti dati che vengono consultati e immagazzinati, ma soprattutto sollecitazioni che avvengono in contemporanea tra loro, aumentano la pressione psicologica e di conseguenza anche lo stress.
E secondo il ricercatore in neuropsicologia Francis Eustache, lo stress permanente potrebbe portare ad una perdita della memoria. La cosiddetta ‘rete di default’, che è fondamentale per mantenere un alto grado di memoria, funziona solo quando il cervello è a riposo. Dobbiamo dunque evitare grosse sollecitazioni al cervello per far sì che lo stato della nostra memoria sia sempre ottimo.
Infine, tutti coloro che credono di essere ‘multi-tasking’ – cioè di saper gestire più cose nello stesso momento – resteranno delusi dai risultati di una ricerca svolta dal neuroscienziato Aurelie Bidet-Caulet.
“Nel fare due cose in contemporanea, si riesce a farle entrambe abbastanza male, soprattutto quando si tratta di attività che si svolgono a breve distanza l’una dall’altra sul piano della rete neurale”. Ad esempio, quando ci si trova in riunione e si prova a scrivere un SMS mentre si cerca di prestare ascolto, non si fa bene nessuna delle due cose. Quindi meglio farne una sola.
Come possiamo fare fronte, dunque, a questa situazione? Il sovraccarico neurale e il calo nella capacità cognitiva non sono due situazioni sufficientemente minacciose? Riusciremo ad evitare di diventare totalmente dipendenti dalla tecnologia?
Disconnettiamoci!
Il problema della cyber-dipendenza sembra essere ancor più complesso rispetto ad altre dipendenze, non solo perchè ci si trova ad affrontare una dipendenza non legata a sostanze – come la droga o l’alcool – ma anche perchè Internet è diventato parte integrante della nostra vita, al giorno d’oggi.
Un distacco totale dalla tecnologia è praticamente impossibile. Per quanto riguarda la capacità di gestirla nella vita reale, di riprendere attività per noi piacevoli e slegate dall’utilizzo di apparecchi tecnologici, si tratta già di una cosa più fattibile.
Eppure, attività come fare sport e lunghe passeggiate senza ascoltare musica con le cuffie, oppure leggere un libro o una rivista, oppure ancora dormire o comunque oziare per buona parte della giornata, sono tutte attività vitali e produttive più di quanto si immagini. Specialmente se si fanno senza l’ausilio del cellulare.
Il fatto di staccarsi da questi dispositivi consente al cervello di assimilare tutto meglio, di memorizzare tutto più facilmente e di migliorare la concentrazione.
Quindi, dopo aver letto questo articolo ed essere venuto a conoscenza di tutti i rischi legati alla cyber-dipendenza, spegni il tuo PC, tieniti alla larga dal tuo smartphone ed esci a prendere una boccata d’aria.