Un noto esperto sul piano del mental coaching ci spiega qual è il modo migliore per prepararsi psicologicamente a giocare un Final Table del Main Event WSOP.
Jared Tendler è senza dubbio uno dei mental coach più preparati e stimati nell’ambiente pokeristico. Se non altro perchè ha lavorato con tre giocatori che hanno poi disputato il Final Table del Main Event delle World Series of Poker.
Lavorando con Kenny Hallaert, Jorryt van Hoof e Max Steinberg, Tendler ha consentito ai giocatori di ottenere il massimo da un evento così complicato da gestire sotto tanti aspetti.
E anche se la strategia nel poker è qualcosa di fondamentale, lui sostiene che è importante anche restare calmi e non far sì che la propria capacità di ragionare venga offuscata da altri fattori.
E Tendler sa esattamente di cosa parla, visti i risultati ottenuti dai suoi ‘allievi’. Van Hoof è giunto terzo nel 2014, portando a casa 3.8 milioni; Steinberg è giunto quarto nel 2015, con un premio di 2.6 milioni; infine Hallaert ha chiuso il Main Event WSOP dell’anno scorso in sesta posizione, portando a a casa un milione e mezzo.
I consigli del mental coach da seguire
Abbiamo parlato con Tendler di alcuni elementi chiave sui quali dovranno soffermarsi i nove protagonisti del Final Table del Main Event WSOP di quest’anno, in questi due giorni di sosta.
Ma lui ci ha fatto capire chiaramente che certi aspetti vanno applicati anche in tavoli finali di altri tornei di prestigio, in modo che la pressione non vada ad interferire con la capacità di prendere giuste decisioni al tavolo.
PokerListings: Quanto era importante la pausa prima dei November Nine, per i giocatori che dovevano prepararsi psicologicamente al Final Table?
Jared Tendler: Per alcuni giocatori è stato fondamentale. Su un piano sia fisico che mentale, ha dato loro la possibilità di fare miglioramenti evidenti.
Hanno avuto tempo e modo anche per studiare i propri avversari e per fare simulazioni di diverse situazioni di gioco che potevano venire a crearsi.
È impossibile sapere quanto tutto ciò che viene appreso durante lo studio è poi applicato in maniera corretta. Ma alla fine, ogni giocatore sa che mettere in pratica quanti più insegnamenti possibili, a prescindere dal risultato.
I tre giocatori con cui ho lavorato negli ultimi anni possono confermare che c’è stato un grande cambiamento, tra il loro approccio precedente e il modo in cui hanno affrontato il tavolo finale.
D’altro canto, una pausa di quasi quattro mesi porta anche grandi responsabilità. La loro vita è chiaramente cambiata in maniera radicale, tutto era volto alla preparazione del tavolo finale.
Quest’anno i giocatori non avranno la possibilità di gestire questo lasso di tempo per prepararsi, ma al tempo stesso ci sarà meno attesa, e quindi meno ansia.
PL: Con soli due giorni per preparare questo Final Table, cosa ti senti di consigliare ai giocatori?
JT: Agli amatori suggerisco di riposare prima di godersi questo momento. Ai pro suggerisco di mettere bene a fuoco tutto e di preparare un buon piano di gioco.
Gli amatori non hanno tempo per fare miglioramenti, l’errore più grande sarebbe quello di provare ad immagazzinare quante più informazioni possibili. Devono solo rilassarsi e pensare al premio che li aspetta.
Anche i pro non devono commettere lo stesso errore, cioè di andare in sovraccarico. Ma dal momento che hanno ben chiaro in testa il proprio game plan e lo stile degli avversari, gran parte del lavoro è già stato fatto.
Suggerisco un mix di momenti di relax e altri in cui provare a puntellare i propri difetti mentali e tattici, che è la cosa più facile da fare per un pro. Inoltre consiglio di dare un’occhiata a qualche mano, in modo da affinare la propria conoscenza degli avversari.
PL: Qual è la trappola più comune in cui hai visto cadere giocatori che prendono parte a un evento così importante?
JT: I giocatori sotto pressione sono soliti cadere nelle loro vecchie abitudini. La pressione non consente di prendere le migliori decisioni possibili e induce in errore. Anche errori gravi.
Quando la pressione è particolarmente alta, il thinking process di fatto scompare. È un po’ come vedere un cervo accecato dai fari di una macchina, prende la prima decisione possibile. Ed è spesso quella sbagliata.
Ci sono diversi modi di gestire la pressione, perciò bisogna fare massima attenzione alle decisioni che si prendono ed eventualmente a cambiarle di volta in volta. Questo è un consiglio che do soprattutto ai pro. Solo restando concentrati si può combattere la pressione e metterla ko.
PL: Puoi farci un esempio su una tecnica che può aiutare a restare concentrati, rilassati e quindi abili nel prendere decisioni giuste?
JT: Non è facile fare esempi. Rivedendo la diretta del Day 7 ho sentito dire che è giusto affrontare il Main Event WSOP come se fosse un torneo da 10 dollari di buy-in. Senza dunque farsi prendere dall’importanza dell’evento o dal denaro in gioco.
A livello superficiale può sembrare un buon consiglio, ma dubito sul fatto che i giocatori possano seriamente riuscire a pensarla in questo modo, e per un lungo periodo di tempo.
Trucchetti del genere funzionano molto raramente. A dire il vero, la pressione a volte può diventare quasi un vantaggio. Dà motivazioni extra a chi si trova a vivere situazioni del genere.
E la chiave in questi casi è rendersi conto di aver fatto dei passi in avanti contro le proprie maggiori debolezze. Quando capisci che la pressione non ti indurrà a giocare male, riuscirai finalmente a gestirla.
Alcuni giocatori traggono vantaggi da una semplice tecnica respiratoria. Potrebbe non suonare efficace, ma prendere profondi respiri che fanno passare l’aria dallo stomaco anzichè dal petto, dà al proprio corpo una sensazione di relax.
È facile provarci quando si è rilassati, prendendo aria dalla bocca e facendo respiri profondi. L’aria arriverà direttamente al petto e la pressione salirà.
Invece, facendo arrivare aria allo stomaco, ci si sentirà immediatamente meglio. Dopodichè, sarà più facile concentarsi, per poi prendere decisioni migliori più facilmente. Magari non decisioni perfette, ma sicuramente migliori.
PL: Hai lavorato con Kenny Hallaert l’anno scorso, e i risultati si sono visti anche in una clamorosa estate 2017. Che tipo di lavoro hai svolto con lui?
JT: Purtroppo non posso entrare troppo nello specifico, sono cose confidenziali. Tuttavia posso dire che ho fatto lo stesso tipo di lavoro svolto con gli altri miei ‘clienti’ prima dei Final Table.
Ovviamente i dettagli cambiano di persona in persona, ma a grandi linee il mio lavoro riguarda:
1) Risolvere i principali problemi mentali e lavorare sulle singole situazioni di gioco.
2) Trovare modi per ottimizzare i momenti in cui la mente è più ‘calda’ o più ‘fredda’, in modo da fare restare il giocatore sul pezzo.
3) Aiutarli a strutturare al meglio ciò che hanno appreso, in modo da evitare eventuali sovraccarichi.
4) Ridurre al minimo le distrazioni quando si è al tavolo
5) Allenarli nel prendere le decisioni al tavolo
Posso dire che con Kenny non c’è stato troppo lavoro da fare per renderlo pronto al Final Table, aveva già dentro di sè un ottimo potenziale, e sono contento che le cose continuino ad andare bene.
È un ragazzo che ama tantissimo il poker, ed è sempre divertente lavorare con qualcuno che mostra una tale passione.